Un
popolo che non conosce la propria storia è un popolo che non conosce se stesso
e non saprà risolvere i problemi che dovrà affrontare.
La
poca conoscenza della storia ha indotto i politici italiani, dell’immediato secondo
dopoguerra, a credere che bastasse una malfatta riforma della proprietà
fondiaria assieme ad un’ancora peggiore industrializzazione del nostro
Mezzogiorno a risolvere il divario tra un Nord industrializzato e un Sud
agricolo.
Si
sarebbero dovute conoscere le diverse strutture sociali del Paese: le regioni
settentrionali avevano, fin dal tempo della nascita dei comuni medievali,
creato degli organismi collettivi complessi grazie alla presenza di mercanti,
artigiani, banchieri, operai specializzati; le regioni meridionali conservavano
una struttura sociale semplice composta da una élite di nobili messa di fronte
ad una massa di contadini analfabeti.
Se
si fosse ben guardato alla formazione storica di queste due realtà, non avremmo
ingenuamente creduto che sarebbe stato sufficiente iniettare risorse economiche
in regioni ferme ad una economia feudale per poter superare un gap economico
vecchio quanto l’Italia stessa.
Lo
sviluppo di altre regioni italiane ha radici lontane: solo il tempo, la continuità,
e l’impegno (culturale, politico, economico) potranno risolvere la tanto
spinosa “questione meridionale”.
Sviluppare
il Mezzogiorno vuol dire innescare un nuovo processo che privilegi la
formazione scolastica, faccia, finalmente, la rivoluzione agricola che non è
mai stata fatta, dia spazio a quella borghesia produttiva liberandola
dall’abbraccio soffocante della malavita organizzata.