Il
debito pubblico in Italia ha superato i 2.000 miliardi di euro. Una cifra enorme
quasi incomprensibile.
Il boom economico dei ‘50/’60 durante il quale l’Italia si era “rimboccate le
maniche” non solo per uscire da quella secolare miseria dopo venti anni di fascismo e cinque anni di una guerra disastrosa, ma
anche per poter finalmente competere con le nazioni europee più progredite, è stato velocemente archiviato.
Gli anni successivi, ci hanno indotto a pensare che questa crescita
economica fosse ormai irreversibile quasi un fatto naturale. La spesa pubblica ha
cominciato a sfuggirci di mano: welfare più che generoso e in
gran parte clientelare, corruzione sempre più dilagante, in più un’allegra e tollerata evasione fiscale.
A
questo va aggiunto un rallentamento della crescita economica per una caduta di
quell’impegno che aveva caratterizzato gli anni precedenti.
Comunque
fino al ’92 il rapporto Debito/Pil si era mantenuto in pareggio: poi “i nodi sono venuti al pettine”.
E’
nel ’92 che l’Italia sottoscrive i trattati di Maastricht, premessa
all’ingresso della moneta unica europea. Non è un impegno da poco: vuol dire norme nuove e più stringenti, vuol dire accettare un cambio lira/euro
penalizzante, vuol dire pareggio di bilancio e non un deficit cronicizzato.
Con
la crisi economica iniziata nel 2008, il nostro Paese ha ulteriormente
aggravato la sua posizione tanto da rischiare il default.
Le
ricette per uscire da questa situazione sembrano non esserci anche se, a ben
guardare, con una classe dirigente capace, tasse certe ma sostenibili, spesa
pubblica sotto controllo, più un ritorno, da parte di tutti, allo spirito che aveva caratterizzato gli anni del "miracolo", si potrebbe riportare l'Italia al ruolo
che comunque le spetta nel contesto europeo.